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Mio Diario Demonio
(My Demon Diary)
Diario astrale dei cazzi miei
Costellazione delle piccole labbra
Via lattea ancora acerba
Micael, mio caro Micael, come va?
Stanco? Io Molto. Forse non lo sai ma sostenere il tuo amico e ciò che ha dentro non è facile.
Non sono inezie tenerlo in vita.
Ma lo faccio volentieri. Lo faccio per voi.
Oggi ti vorrei parlare di una bugia che ti ho detto. Una sciocchezza s'intende.
In realtà non sono scappata da Edimburgo come ti ho detto. A quei tempi , quando ti conobbi non mi andava di rivelarti troppe cose su di me, su come comunque già manipolavo la materia.
Ecco perché ti ho inventato la cazzata che ero fuggita nei boschi inseguita da quei poveri uomini.
Niente di tutto questo.
Partiamo da un po di sere prima. Avevo già dieci anni. Compiuti nel giorno del battesimo della quadratura equatoriale. Ricorderai spero. Certo che ti ricordi quando sono nata. Giorno strano vero?
La sera in quel bel posticino tanto accogliente mangiavamo tutti insieme. Erano ospitali , mica delle bestie (menzogna).
Io però ultimamente mi facevo alla grande i cazzi miei. Come già ti dissi, dopo quelle esperienze di quando ero veramente piccola, i ragazzi mi adoravano e temevano. I gestori del bel albergo per poveri abbandonati al destino, mi evitavano anche se Dieshi (Sai come è fatto) Tentava delle volte di sfidarmi. Lui era grosso quasi come ora (Immagina te).
Dicevo, la sera si mangiava tutti insieme in un bellissimo tavolo ed altri due piccoli laterali. Non centravamo tutti.
Arrivavo spesso, quando tutti già mangiavano. Posavo la sacca sul tavolo, tiravo fuori delle pietre o altre cose simili che mi erano state utili nella foresta per certi incantesimi. Poi le rimettevo nel sacco in ordine. Era un mio modo per dire loro “Faccio quello che voglio e come voglio”
Non parlavo mai. Ero nel posto adiacente alla fine del tavolo. Accanto a me nessuno.
Udivo i loro bisbigli ma se io muovevo un braccio o facevo gesti, tutti si zittivano. Attendevano, poi vedendo che non reagivo, ricominciavano a discutere di cose loro.
Sentivo in loro la tangibile paura della mia presenza . E credimi Micael, avere dieci anni ed essere consapevole di tutto ciò , ti da una forza immensa. (Oltre che arroganza ed un profondo compiacimento).
Era Febbraio di un anno bisunto dalle solite cose. Sentivo i ragazzi accanto a me bisbigliare di una partita. Più a lato Altri ridere mangiando. Dieshi beveva (Come al solito). Accanto a lui suo padre, era riflessivo. Non ti ho però mai detto chi dirigeva la baracca. Si chiamava Christopher. Era il nonno Di Dieshi. Quando io avevo dieci anni lui ne avrà avuti settanta. Era lui il capo della combriccola. Lui dava ordini. Gli altri obbedivano.
Fu allora che visto l'ambiente sano e cordiale, mi alzai in piedi.
Tutto cessò. Ogni rumore o bisbiglio.
“Io me ne vado!” Dissi.
Sempre silenzio.
“Cè qualcuno che è contrario?”
Chistopher tossì. Poi mi indico di avvicinarmi a lui.
Mi disse con quella voce da vecchio “Perché? Non stai bene qui? E' la tua famiglia e poi ci servi”
Allora mi avvicinai a lui. Gli sorrisi. Indicai le sue gambe.
“Vuoi venire qui? “ Mi disse.
Io annuii. Scostò la sedia e gli andai in collo, abbracciandolo.
“Non andare via” Mi disse.
Gli diedi un bacio (Falsa) Poi l'abbracciai più forte e gli misi una mano sul petto.
Mi guardarono tutti strana. Non era da me essere cosi' affettuosa.
Mai stata.
Appoggiai la mano all'altezza del suo cuore.
“Io me ne vado! C'è qualcuno che me lo vuole impedire?”
Improvvisamente Dieshi si alzò dalla sedia.
Suo nonno gli diede una occhiata. Gli fece un segno con la testa. Poi anche Dieshi comprese.
Chistopher iniziò a sentirsi male.
Cerco di afferrarmi la mano , posta sopra il cuore.
“Mi basta un attimo! Vecchio stronzo. Vuoi spezzarmi il polso? Prima ti fermo il cuore. Non ci credi? Che cosa senti ora?”
Dieshi non sapeva se aggredirmi o stare fermo. Un bambino si mise a piangere. Mi voltai e lo zittii.
“Mi togli concentrazione! Silenzio” Gli dissi.
Il vecchio mollò la presa. Lo guardai.
“Ci siamo capiti vero? “ Parto adesso. Ma siate fiduciosi, un giorno tornerò, e dovrete essere pronti.”
Un silenzio tombale.
Mi alzai dalle sue gambe. Andai verso le stanze. La mia. Presi poche cose. Sapevo che se stavo ancora troppo , sarebbero rinsaviti. Avevo creato timore nell'aria.
Mi dissi che sarei tornata a prendere un po di cose che avevo nascosto. Anche la tavoletta.
Passai dalle cucine. Non c'era nessuno. Era tardi. Molto tardi. Mi diressi verso il bosco. In fondo quella era casa mia . Ed iniziai il mio lungo viaggio.
Il mio lunghissimo viaggio .
Tua Valentina per sempre,
Micael.
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