Il guardiano dei gatti
Parte 3
Prologo
Non si dovrebbe mai amare
un altro per quello che sta facendo per noi
ma solo per come ha costruito se stesso
io
ho costruito mondi pieni di castelli e prigioni
e per entrare dentro me
non basta aprire un portone
ma ascoltare il passaggio del mio silenzio
3
Feci una veloce colazione con del latte e biscotti.
Anche se non avevo una gran fame, dovevo necessariamente mangiare.
Dopo essermi vestito con gli stessi abiti del giorno prima, riposti malamente sulla sedia, osservai il gatto.
“Io devo uscire! Ed anche te!” Gli dissi.
“Devo andare a trovare una persona che non c'è più” Sottolineai.
“Perciò preparati” Dissi ancora.
Poi pensai: “Ma sto dicendo ad un gatto randagio di prepararsi?”
“Devo essere impazzito” Pensai.
Aprii la porta.
Il gatto si avvicinò.
Mi guardò dal basso all'alto e miagolò.
“Non posso lasciarti qui!” Sussurrai.
“E' stato bello! Ma devi tornartene da dove sei venuto; e dato che non so da quale luogo provieni, fai te; vai dove ti pare. Ciao.” Sorrisi.
Chiusi la porta e la casa rimase vuota.
Il gatto di fronte alla porta immobile.
Mi incamminai verso il cimitero quando dopo pochi attimi il felino era già alle mie spalle; con quel passo quasi allegro, pareva mi seguisse a distanza.
“Ho detto di no! Ognuno per la propria strada! Non ho tempo per un gatto! Lo capisci?” Urlai.
Ma lui niente.
Quando mi fermai per brontolarlo; si fermò impassibile.
Ascoltò le mie parole come se niente fosse, poi ripartì al mio fianco.
“Come te lo devo dire? In Gattesco?” Pronunciai.
“Non puoi venire con me! Voglio stare solo”
Proseguii per la strada.
Il gatto sempre dietro.
“Ok! Fai come ti pare.” Dissi rassegnato.
Giungemmo al cimitero dove la mia donna ormai aveva residenza.
Fortunatamente a quell'ora della mattina non c'era anima viva.
Presi un vialetto; poi un altro ed un altro ancora.
Il gatto sempre dietro.
I genitori di lei si erano preoccupati di tutto; il corpo e poi quello che sarebbe rimasto avrebbe dormito l'eternità accanto alla tomba del nonno che tanto aveva adorato.
Non so come mai; forse l'entità del cimitero, mi persi.
Girovagai confuso cercando di darmi un contegno d'orientamento.
Non compresi la vertigine che mi assalì, quando mi trovai davanti alla tomba di uno sconosciuto;
poi di un altro;
un altro ancora.
Cercai un guardiano;
non ce n'erano.
Gli avrei detto il nome di famiglia
e mi avrebbe indirizzato verso il luogo di sepoltura.
Sapevo che sulla sua lapide mancava ancora la foto
e le scritte per commemorare il nostro amore perduto.
La vertigine parve ancora più forte;
credetti di cascare quando sentii non troppo distante un miagolio.
Il gatto non era al mio fianco;
solo qualche bara più in la.
Mi guardò.
Poi fuggì.
Poi Tornò.
“Non mi dire!” Pensai.
“Vuoi che ti segua?” Dissi ad alta voce.
Il gatto prese una stradella tra due lapidi.
Scese veloce zigzagando e stargli dietro non fu per niente facile.
“Ma dove vai?
Io non credo che tu sappia! Mi stai facendo perdere tempo! E' assurdo!” Urlai.
Poi il gatto si fermò.
E lei era li.
Riconobbi la lapide; ancora scarna.
Nessuna foto.
Nessuna scritta.
Riconobbi la foto di suo nonno; morto 6 anni prima.
“Coma cavolo hai fatto?” Gli chiesi?
Tentennai.
“Tu sapevi dove era?” Domandai.
“Tu la conoscevi?” Insistetti.
Il gatto rimase immobile davanti alla lapide; poi si voltò verso di me; Come per fare un gesto.
Come per dirmi qualcosa.
Io rimasi impietrito.
Mi avvicinai a lui e mi affiancai.
Osservava quella pietra in modo fisso e continuo.
“Tu la conoscevi vero?” Gli dissi.
E le lacrime scesero.
Fu la prima volta da quando era morta.
“Tu conoscevi il mio amore?”Sussurrai ancora. Poi piansi.
Mi ricordai in quell'istante un fatto strano accaduto qualche anno prima.
Quando lei trovò un vecchio gatto ferito ed abbandonato sul ciglio della strada ;
proprio simile a questo che ora avevo davanti.
Stesso colore
stessi occhi.
Solo molto più vecchio e malandato.
Voleva portarlo a casa.
Le aveva dato anche un nome.
“Geremia”
Io le dissi che non era il caso;
che ero allergico ai gatti; proprio non li sopportavo davvero.
Litigammo.
Fu uno delle poche volte che litigammo così.
Lei pianse.
Mi scusai.
Le dissi che mi sarei sforzato;
Che l'avrei fatto per lei.
Ma il gatto;
quel vecchio gatto era sparito.
Non c'era già più.
Mi chiesi come avesse fatto ad alzarsi dalla condizione in cui era.
Un minuto prima lo accarezzava piano piano
donandole quel nome.
“Geremia”
“Geremia”
E poi scomparve.
Non ne parlammo più.
Dimenticammo
Forse dimenticammo.
Solo io
non so
se anche lei.
Mi voltai verso quel giovane gatto nero e tentai l'impossibile.
Lo chiamai.
“Geremia?”
Il gatto non si mosse.
“Geremia!”
La sua testa lentamente si voltò.
Da lei
nel suo riposo
a me
nel mio tormento.
Mi parve scoppiasse il cuore.
“Geremia?”
Il gatto si avvicinò strusciandosi sulle mie gambe.
“Ti chiamerò come lui.” Gli dissi.
Mi osservò in un modo strano.
Poi dalla mia bocca uscirono certe parole.
“Lei ti ha mandato da me vero? E' stata lei?”
Piansi più forte.
Più forte di quanto mai avessi potuto immaginare.
Ed il quel momento tutto il mondo si liberò di me;
ed io di lui.
Sentii il vuoto,
la pace,
l'armonia.
Mi chinai verso di lui e dissi una frase che mai mi sarei aspettato d'essere in grado di pronunciare
“Ti prego Geremia”
“Ti prego! Resta con me!”
V.
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